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Valentina Barisano
7 min readNov 28, 2020

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Vocabolario minimo delle parole a cura di Luca Marinelli

Questo articolo è stato pubblicato su Altri animali il 14 ottobre 2019

Antologia di racconti a cura di Luca Marinelli, Vocabolario minimo delle parole inventate, Wojtek 2019 Impostazione grafica a cura di Altri animali

Se volessimo giocare a Se una notte di inverno un viaggiatore con i ventidue racconti di questo libro, tagliando i vari incipit e montandoli tutti insieme, ci ritroveremmo davanti ad un delirante quanto sfaccettato mosaico di voci diverse. Vocabolario minimo delle parole inventate, antologia curata da Luca Marinelli per i tipi di Wojtek, raccoglie infatti una schiera di autori e autrici che apparentemente non hanno un orientamento comune, con alcune eccezioni.

Oltre ad alcuni esordienti e nomi già affermati, nella maggior parte dei casi si tratta di militanti che hanno fatto palestra su riviste, selezionati dal curatore grazie alle sue esperienze prima con Narrandom e ora con «Verde Rivista».

Piccola parentesi su Verde Rivista e sul suo ecosistema social-mediatico: la rivista ormai da anni sta costruendo uno spazio digitale unico e difficile da definire, il quale, post dopo post, s’inserisce in una strana via di mezzo tra la classica rivista di racconti online e la pagina di meme che si affaccia costantemente all’attualità (letteraria e non). In questa zona ibrida possiamo trovare, oltre ad elaborati editoriali che presentano volta per volta i racconti, riferimenti al mondo dell’editoria italiana, spesso in toni ironici o dissacranti. È questo il terreno fertile da cui provengono molti dei racconti che possiamo trovare in Vocabolario minimo. Dall’esperienza nella redazione di questo genere di rivista, Luca Marinelli ha ideato la raccolta, lanciando una sfida ad autori e autrici con cui ha avuto modo di collaborare e verso cui nutre alte aspettative.

Così nasce questa antologia, la cui prima peculiarità è nella struttura: Vocabolario minimo è concepito come un vero e proprio dizionario di parole inesistenti; ogni lettera dell’alfabeto è assegnata ad una parola inventata e ad un racconto in cui se ne dà il senso. Ogni racconto ha un obiettivo: dare nel corso delle pagine il significato della parola inventata del titolo. Così, dalla A alla Z, gli autori si misurano con questa sorta di gioco ingaggiato con il curatore, realizzando risultati disparatissimi.

Di questo micro-canone va prima di tutto registrata un’eterogeneità stilistica, e in alcuni casi una vocazione alla sperimentazione, spesso rimarcata nel linguaggio, come nei testi ipnotici di Demiurnare di Emanuela Cocco o in Picarèbico di Andrea Frau. In altri, predomina la tendenza alla finzione narrativa, come in Hibrisifico di Pierluca D’Antuono, finta biografia di un letterato italiano, che ricorda una finta biografia bolaniana però ambientata nel contesto editoriale italiano contemporaneo, o Napoleggiare, napoleggiarsi di Paolo Parente, altra finzione (in questo caso diaristica) del rendiconto etnografico del viaggio di Federico Sòrtio Salvàri. Anche la detective story di Transkafkamento di Luca Mignola si inserisce in questo solco, presentando nel racconto delle prove documentarie a testimonianza di una particolare trasformazione.

Molti i racconti che invece si concentrano su quotidianità familiari ed esperienze concrete, come le scene della lettura testamentaria di Fraspola di Lorenzo Vargas, la rievocazione dell’infanzia del genitore in Memolabile di Gianluca Bartalucci o il brevissimo ma toccante racconto sulla depressione di un padre di Struttità di Andrea Donaera. In alcuni casi, al centro dei racconti c’è una focalizzazione sul legame fraterno, attraverso punti di vista originalissimi, come in Calembale di Simone Ghelli ed Esalgico di Paolo Gamerro. Situazioni quotidiane anche in Wone di Alfredo Zucchi, dal finale commovente sul tragico senso di abbandono.

In alcuni casi i protagonisti si ritrovano a contatto con personaggi odiosi, delle nemesi che mettono alla prova i propri istinti brutali di violenza, come in Okkupare di Alfredo Palomba, che descrive un concerto dei Radiohead andato a finire male o Inculcraniarsi di Francesco Quaranta, nel quale un giornalista musicale si ritrova ad intervistare l’incarnazione del più becero spirito pop del tempo.

Alcuni racconti si incentrano sulle fasi di cambiamento, su esitazioni, fughe e scelte, come Ucronogonia, di Guido Zavanelli Zanetti, che parla di un gruppo di auto-aiuto per chi sente di non aver saputo dare una direzione personale alla propria vita, Robbantare di Federica Sabelli, resoconto di un viaggio su un’isola lontana e Gravicoma di Claudia D’Angelo, che brilla per la metafora delicatissima che riesce ad emergere da un racconto dai toni paradossali di una vecchia che si piazza a vivere in casa con la protagonista.

Queleticismo, di Andrea Zandomeneghi, spicca perché è l’unico racconto che ricalca esplicitamente lo stile di un vocabolario vero, elencando le varie sfumature di significato e le occorrenze del termine. Nella lista di verbi coniati ci sono Zipzappare, di Stefano Felici e V-Dianare, di Simone Lisi; entrambi i racconti si confrontano con sfumature diverse del rapporto con il digitale. Il primo traghetta il protagonista in un’altra dimensione e il secondo descrive, in tre momenti, le reazioni individuali di persone coinvolte nell’utilizzo di un’app in grado di fornire un profilo completo di like e gusti di una persona, nel corso di un’intera vita.

Tutti i racconti sarebbero meritevoli di un approfondimento, quasi spiace doverne selezionare solo alcuni per dare un’idea più approfondita della sostanza di questa raccolta. Per questo se ne propongono soltanto tre, in questo caso in ordine non alfabetico.

Betavita, Francesca Corpaci

«Il posto che preferisco nel perimetro dell’ufficio è al cento per cento l’ascensore perché:

a) odora sempre di buono e mentre ti scarrozza su e giù per un milione di piani hai l’impressione che a profumare sia proprio tu

L’incipit di Betavita basta a capire quanto sia originale il punto di vista da cui prende vita il brano di Francesca Corpaci, dal cui background si può inoltre capire quanto ormai i nuovi scrittori abbiano alle spalle la solidità di anni di militanza su riviste e altre realtà online. L’autrice, ad esempio, è tra le fondatrici del collettivo «In fuga dalla bocciofila» e scrive regolarmente sulla rivista fiorentina «Lungarno», è presente in un’altra antologia (Odi. Quindici declinazioni di un sentimento, Effequ, 2017) e collabora con «Verde Rivista», «Crapula Club», «L’Indiscreto» e altre riviste. Betavita è un racconto ambientato in un ufficio e ricalca il movimento del viaggio di un ascensore che sale e si apre nella desolazione degli ambienti aziendali quando restano vuoti a fine giornata. Seguendo il movimento dell’ascensore, le soste presentano occasioni per affrontare riflessioni sull’ambizione e sull’ascesa, sia metaforica che lavorativa. «Sala d’attesa esistenziale», «le poltrone in ecopelle e la cancelleria coordinata»: ricco di particolarità linguistiche, come la dimestichezza con cui alla narrazione del vissuto interiore si unisce l’utilizzo di un lessico aziendale e scientifico, il racconto è accompagnato da immagini suggestive, come quella in cui il cervello della protagonista viene paragonato ad un hard disk, le cui sinapsi raccolgono informazioni della memoria di prassi aziendali. Tutto questo materiale è impiegato per raccontare una vita che si plasma sul modello aziendale, modificando sia la struttura dei pensieri che la forma fisica, realizzando un ritratto della contemporaneità lavorativa lucido e disincantato.

Amulico, Alessio Mosca

«E vi sono Manicomi della Marsica, le cui mura sono pronte a risputare fuori le voci sussurrate nelle orecchie logore di centinaia di pazzi e assassini, voci di spettri divenute un unico urlo, pronte a giurare che quell’uomo era il loro dottore.»

Amulico è un racconto di Alessio Mosca, medico e novello specializzando in psichiatria; anche lui ha pubblicato i suoi racconti su buona parte delle riviste citate in precedenze, in particolare su «Verde Rivista», «Crapula Club», «Terra Nullius» ed «Effe». Il racconto dell’antologia di Wojtek presenta un’ambientazione insolita: nelle montagne di un Abruzzo dark e inospitale, tra le mura di un manicomio nel quale avviene un dialogo tra un prete e un medico. Le pagine sono intrise di dettagli ed elementi orrorifici delle ossessioni e della follia, tra alberi, urla e presenze spettrali. Già dall’incipit si può registrare un tono quasi epico, sostenuto stilisticamente da una sintassi molto fitta. Da questo racconto emerge l’idea dell’autore di lavorare sul «potenziale letterario e immaginifico della provincia italiana» ed è questo che distanzia Amulico dagli altri racconti dell’antologia, proprio perché evade dai consueti set cittadini per inabissarsi nel cuore della regione oscura dell’Abruzzo, tra boschi e possessioni; seguendo il ritmo psicotico del racconto ci si ritrova in questo sostrato mitico, per chiedersi alla fine della lettura se quella dell’amulico sia una leggenda inventata come le parole dell’antologia
o vera.

Lallità, Anna Adornato

«La verità mostruosa è appunto questa, e cioè che una volta giunta in questo luogo, la Lallità — come d’ora in poi chiamerò la cosa col suono onomatopeico con la L — ti entra nelle ossa e ti corrompe fino al midollo, ti intrattiene con una specie di dilemma etico a cui devi attenerti con ogni dettame del tuo essere.»

La permanenza di una vacanza dalla «piacevolezza oscena e maestosa» viene raccontata con un’ironia quasi sfacciata da Anna Adornato. L’autrice ha pubblicato due romanzi, E tu che mangi il gelato (Ad est dell’Equatore, 2013) e Gli affetti provvisori (Wojtek, 2018), ha esperienze nel mondo del cinema e della tv, una partecipazione a un reality alle spalle e tenuto varie rubriche su giornali online. Dal tono completamente diverso dai precedenti esempi, Lallità parla di una donna che intraprende un viaggio verso un paradiso caraibico mentre in Italia è ancora pieno inverno, sperimentando comfort che mai si sarebbe potuta permettere se non vincendo alla lotteria della parrocchia. L’autrice esplora questa forma di attaccamento a questa nuova condizione, la brama del privilegio appena conquistato e con questa confessione arriva ad ammettere senza troppi giri di parole quanto il lusso, l’evasione dalla propria realtà e il piacere di essere serviti sia appagante e libidinoso. Ciò che colpisce della prosa di Anna Adornato è la sincerità e la dimestichezza con cui lascia che la protagonista del racconto si confessi.

Con tempi di narrazione diversi, ambientazioni differenti, sempre con una discreta varietà stilistica, non emerge immediatamente qualcosa che tenga assieme questi racconti. Forse semplicemente è divertente andare alla ricerca di quell’attitudine comune, di cui si anticipa la presenza nel risvolto di copertina, vale a dire «quella affinità con i processi della rete», che in alcuni racconti si fa più evidente e che in altri invece resta sotterranea, ma che in qualche modo si presta perfettamente a presentare una generazione letteraria che con questa antologia dimostra di avere molto da dire.

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